SCRITTORI E GUSTO URBANO FRA SETTECENTO E OTTOCENTO
di: Francesco Iengo a cura di Mario Della Penna
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Capitolo VII (I parte)

TESTIMONIANZE SETTECENTESCHE SULLA QUESTIONE DEL "GOTICO"

1728. Montesquieu su Venezia:

«A Venezia c'è molto gotico leggero: il Palazzo Ducale, per esempio. Sembra che il gotico si adatti alle chiese meglio di altre architetture. La ragione mi sembra questa: il gotico, non essendo più in uso, differisce di più dalla nostra maniera di costruire le case; e così il culto di Dio sembra essere più distinto dalle azioni ordinarie (...)» (131).

Un' implicazione immediata di questo passo: posto che il "gotico" si adatta soprattutto alle chiese, il "gotico" Palazzo Ducale, la cui destinazione è civile, non è di pieno gradimento dell'osservatore (132).

Quattro mesi dopo Montesquieu è a Firenze: 

«Firenze (...) è una bella città (...) E c'è questo di straordinario, che a Firenze l'architettura gotica è d'un gusto migliore che altrove. Il Duomo e Santa Maria Novella sono bellissime chiese, sebbene di gusto gotico. Hanno un'aria di semplicità e di grandezza che gli edifici gotici non hanno. Quei grandi geni dovevano essere superiori all'arte di quel tempo. Perciò Michelangelo chiamava Santa Maria Novella sua sposa, e aveva un grande rispetto per la chiesa del Duomo». (133).

Dove si sta precisando che, per Montesquieu, "gotico" è l'opposto di "semplice" e di "grande": per lui, "gotico" significa qualcosa di "sovraccarico" e, nello stesso tempo, di "povero" (134).

Questa "povertà" in particolare, sarà certamente povertà in senso architettonico, ed anche povertà per quanto riguarda i materiali: del resto, il Settecento, che predilige i marmi pregiati fino al punto di disprezzare lo stesso, pur glorioso travertino romano, non potrebbe reagire altrimenti di fronte alla pietra delle cattedrali gotiche. Ma questa sensazione di "povertà" potrebbe anche dipendere dall'anonimità dell'architettura gotica in generale: non fa parte in genere dei "poveri" colui del quale non si conosce il padre?

Ideologia, dunque, di tipo aristocratico, e connessa, evidentemente, a tutto il problema del ruolo sociale dell'artista dal Rinascimento in avanti.

Sul gotico in genere, comunque, Montesquieu, che deriva anche lui dal vecchio antigoticismo umanistico e rinascimentale inaugurato a metà Quattrocento dall'Alberti su base vitruviana (135), s'inserisce senza difficoltà in quel "tentativo illuministico di teorizzare le regole del gusto", decisive tappe del quale Rosario Assunto segnala nelle Riflessioni sopra il buon gusto (1708) del nostro Muratori, e ne Le temple du goût di Voltaire (scritto fra il 1733 e il 1740), nel quale ultimo, in particolare, "si leggono una sestina e una nota che riassumono le premesse teoriche (appunto) di ogni condanna del barocco e del gotico" (136), puntualmente associati da Voltaire, come da tutto il Settecento, pur essendo cose del tutto diverse, se non addirittura opposte, e non solo dal punto di vista storico-culturale (137).

A Verona, ormai alla fine del suo viaggio, Montesquieu s'imbatte nelle Arche Scaligere, che definisce "tre mausolei in forma di piramide (...) del più barbaro ed autentico stile gotico" (138). Dovranno passare cento anni perchè le Arche conoscano giudizi opposti: i "monumenti gotici degli Scaligeri" "piaceranno" assai a George Byron (che trova del resto "superba" anche la "cattedrale di Milano") nel 1816 (139), e nel 1828, appariranno "meravigliosamente belle" ad Heinrich Heine (140).

1739. Charles de Brosses sulla Certosa di Pavia.

«La facciata della Certosa, in marmo bianco, è una magnifica mostra di tutti gli ornamenti immaginabili; statue, bassorilievi, fogliami, bronzi, medaglie, colonne, campanili, ecc.; il tutto sparso senza scelta e senza gusto: non sarebbe possibile, da cima a fondo, mettere il dito su un posto che sia vuoto di ornati. E tuttavia l'insieme rallegra lo sguardo, perchè qua e là vi sono delle cose belle; chi dice gotico, dice, quasi infallibilmente, una cosa brutta» (141).

Siamo sempre anche qui, dunque, in un antigoticismo di tipo montesquieuviano (e volterriano), che non esclude, talvolta, qualche giudizio parzialmente positivo (Firenze "bella città" in Montesquieu, questa Certosa di de Brosses che "rallegra lo sguardo"), ma che, nel complesso, è senza appello (142). Resta inoltre confermato che, in tutta questa sensibilità, gotico significa anche, sempre su vetusta base vitruviana, assenza di superfici piane, oppure, ch'è lo stesso, sovraccarico delle superfici con architettonica o scultorea paccottiglia (143).

Qualche giorno dopo la visita a Pavia, de Brosses è a Milano, dove si dedica al Duomo (144). De Brosses non è affatto "etonnè", anzi, si dilunga subito sulla circostanza, per lui assurda, che la chiesa non sia finita, malgrado i lavori fossero cominciati anni prima, e conclude:

«Se la terminassero sarebbe la più grande (de Brosses non dice la più "bella") opera gotica che ci sia al mondo. Mantengono persino una scuola di stile gotico per gli operai che vi lavorano» (145).


(131) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 21.

(132) Dopo centotrent'anni, nel 1851-1853, confuterà direttamente questa tenace ideologia del gotico come stile particolarmente adatto alle sole chiese, JOHN RUSKIN, Le pietre di Venezia, trad. it. AUGUSTA GUIDETTI, Torino, UTET, 1932, p. 103

(133) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 137.

(134) Questa idea della "povertà" del gotico è chiaramente espressa già da JOSEPH ADDISON nel 1705 (cfr. CESARE DE SETA, op. cit., p. 158). Su Firenze in particolare, c'è da ricordare che lungo il Settecento essa non interessa affatto, per esempio, Lord BURLINGTON nel 1714, così come non aveva interessato MONTAIGNE nel 1581. Nel 1691 MISSON  vi aveva trovato la Cattedrale splendida "benchè gotica" (ibid. rispettivamente pp. 161, 174, 199).

(135) Annota FERDINAND GREGOROVIUS (Storia di Roma nel Medioevo, trad. it. VITTORIA CALVANI e PIA MACCHIA, Roma, Avanzini e Torraca, 1966, vol. VI, p. 379 - Libro XIII cap. VIII paragrafo I): Nel 1452 l'artista (Leon Battista Alberti) mostrò (al papa Nicolò V) il suo libro De re aedificatoria, prima opera del genere dopo quella di Vitruvio. La sua teoria estetica, che rifiutava il Medioevo e il gotico, aprì una nuova era per l'architettura e trovò il consenso di Nicolò V".

(136) ROSARIO ASSUNTO, Estetica e turismo ossia la meditazione filosofica e il gusto dei viaggiatori, "La Cultura", anno V, 2, aprile 1967, pp. 205-238.

(137) "Nel Settecento ci si serviva indifferentemente dei termini gotico e barocco per descrivere opere di gusto (...) discutibile e bizzarro" (ERNST GOMBRICH, Norma e forma, trad. it. VINCENZO BOREA, Torino, Einaudi, 1966, p. 123). Per quanto riguarda MURATORI, però, andrà ricordata una pagina dei suoi Annali d'Italia (che escono nel 1744 - la pagina è la 219 del tomo XXIII, ed. Venezia, 1790) in cui egli chiama "figliuoli dell'ignoranza" e "fanciullaggini" i giudizi sul "pessimo gusto" che avrebbero avuto i Goti. Tale pagina non sfugge a FERDINAND GREGOROVIUS, che la trascrive nella Storia di Roma nel Medioevo (cit., vol. I, p. 306) come testimonianza non sospetta della vitalità dell'arte tedesca.

(138)  MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 338.

(139) GEORGE BYRON, Lettere a Mr. Murray del 15 ottobre 1816 e a Mr. Moore del 1 novembre 1816, in Opere complete, trad. it., Torino, UTET, 1922, vol. V, Appendice pp. 709 e 713. nel 1581 MONTAIGNE (op. cit. p. 114) aveva trovato "belle" le "sepolture dei destituiti signori della Scala".

(140) JOHANN HEINRICH HEINE, Italia (1828-1829). Viaggio da Monaco a Genova, trad. it. ITALO MAIONE, Torino, UTET, 1931, p. 200. 

(141) CHARLES DE BROSSES, op. cit., p. 51.

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Theorèin - Dicembre 2006